Proclamazione del Regno d'Italia | |
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Ritratto di Vittorio Emanuele II di Savoia, Re d'Italia | |
Titolo esteso | legge 17 marzo 1861, n. 4671 |
Stato | in vigore[1] |
Tipo legge | Legge |
Legislatura | VIII |
Proponente | Camillo Benso, conte di Cavour |
Schieramento | Destra storica |
Promulgazione | 17 marzo 1861 |
A firma di | Vittorio Emanuele II |
Testo | |
Gazzetta ufficiale |
La proclamazione del Regno d'Italia fu l'atto che sancì formalmente la nascita dello Stato italiano unitario, istituendo il Regno d'Italia.
Avvenne con la promulgazione della legge 17 marzo 1861, n. 4671, con la quale Vittorio Emanuele II, già monarca del Regno di Sardegna sabaudo, assunse per sé e per i suoi successori il titolo di Re d'Italia.[2][3][4] Con la legge 5 maggio 1861, n. 7, fu istituito l'anniversario dell'Unità d'Italia, festa nazionale, con ricorrenza la prima domenica di giugno di ogni anno.[5][6]
In seguito alla seconda guerra d'indipendenza e alla spedizione dei Mille, guidata da Giuseppe Garibaldi, nel biennio 1859-60, l'obiettivo dell'unità d'Italia era stato in gran parte raggiunto, con le sole eccezioni del Triveneto e del Lazio. L'annessione al Regno di Sardegna delle varie province[7] era stata sancita da una serie di plebisciti.
Il 3 novembre 1860 in piazza Regia (in seguito piazza del Plebiscito) il presidente della corte suprema di giustizia di Napoli, Vincenzo Niutta, proclamò il risultato del plebiscito che sancì l'annessione delle province napoletane del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna: «Proclamo che il popolo delle province meridionali d'Italia vuole l'Italia una ed indivisibile con Vittorio Emanuele, Re costituzionale e suoi legittimi discendenti». Il 4 novembre lo stesso fece il presidente della Corte suprema di giustizia siciliana, Pasquale Calvi. Le annessioni furono formalizzate con regi decreti 17 dicembre 1860, n. 4498 («Le province napoletane fanno parte dello Stato Italiano») e 4499 («Le province siciliane fanno parte del Stato Italiano»).
Il 18 febbraio 1861[8], si riunì a Torino, presso Palazzo Carignano, già sede del Parlamento Subalpino, il nuovo Parlamento Nazionale uscito dalle elezioni del 27 gennaio, che già si definiva Italiano, pur numerandosi come VIII legislatura, continuando la numerazione delle legislature del Regno di Sardegna. La Camera dei deputati comprendeva anche parlamentari eletti nelle "nuove province", mentre il Senato, non eletto ma di nomina regia, era stato integrato con nomine di senatori provenienti dalle altre province d'Italia.
L'apertura della nuova legislatura avvenne con il discorso della Corona[9][10] pronunciato dal Re. Il Senato nella risposta votata il 26 febbraio parlava esplicitamente di nuovo regno[11]. La Camera dei deputati nel discorso di risposta a Vittorio Emanuele, redatto dall'onorevole Giuseppe Ferrari e datato 13 marzo 1861 già dichiarava che:
«i suffragi di tutto un popolo pongono sul vostro capo benedetto dalla Provvidenza la corona d'Italia.»
Subito dopo l'inizio della legislatura, in data 21 febbraio, l'allora Presidente del Consiglio Camillo Benso, conte di Cavour presentò al Senato un progetto di legge, composto da un solo articolo, per ufficializzare la nuova denominazione del Re[12], divenuto poi norma il 17 marzo 1861, con la pubblicazione, il giorno successivo nella Gazzetta ufficiale del Regno d'Italia n. 68[13]. Il 17 marzo, Cavour scriveva al reggente della legazione italiana a Londra[14]:
«La legalità costituzionale ha consacrato l'opera di giustizia e riparazione che ha restituito l'Italia a se stessa. A partire da questo giorno, l'Italia afferma a voce alta di fronte al mondo la propria esistenza. Il diritto che le apparteneva di essere indipendente e libera l'Italia lo proclama solennemente oggi.»
Il 17 marzo è ricordato annualmente dall'anniversario dell'Unità d'Italia, festa nazionale istituita nel 1911 in occasione del cinquantennale della ricorrenza.
Il regio decreto recitava:
«PROGETTO DI LEGGE.
Articolo unico. Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi successori il titolo di Re d'Italia.»
Nella Relazione Cavour ricordava che
«il Parlamento, nel giorno solenne della seduta reale, coll'entusiasmo della riconoscenza e dell’affetto, acclamava Vittorio Emanuele II Re d'Italia.»
Nel testo approvato dal Senato[15] compare tuttavia anche un secondo articolo sulla questione dell'intestazione degli atti legislativi. Si stabiliva dunque che:
«Art. 2. Gli atti del Governo ed ogni altro atto che debba essere intitolato in nome del Re sarà intestato colla formula seguente: (Il nome del Re) Per Provvidenza divina, per voto della Nazione RE D'ITALIA.»
Da notare che il numerale di Vittorio Emanuele di Savoia continuava a essere "secondo", e non "primo", come segno della continuità della dinastia di casa Savoia che aveva realizzato l'unificazione italiana[16] e della continuità del sistema costituzionale.