Uberto Pestalozza (Milano, 19 settembre 1872 – Milano, 28 marzo 1966) è stato uno storico, paleografo e docente italiano, noto per i suoi contributi significativi alla storia delle religioni e alla filologia classica.
Uberto Pestalozza nacque a Milano il 19 settembre 1872, figlio del nobile Giovanni Battista Pestalozza e di Ida Prina[1]. Dopo aver iniziato gli studi all’Istituto Tecnico, si spostò al Ginnasio, mostrando una precoce passione per la cultura antica. Si laureò in Lettere presso la R. Accademia scientifico-letteraria di Milano nel 1895, relatore Attilio De Marchi, discutendo una tesi su "Il culto di Cerere"[2] che pubblicò dopo un biennio, rielaborata, col titolo "I caratteri indigeni di Cerere", L.F. Cogliati, Milano 1897[3].
Dal 1896 al 1903 visse a Roma, dove fu precettore nella famiglia del marchese Emilio Visconti-Venosta. Questo periodo fu ricco di incontri significativi e contribuì alla sua formazione scientifica, soprattutto nello studio delle Antichità classiche[1].
Durante la crisi modernista, Pestalozza fu attivo a Milano, contribuendo al periodico "Il Rinnovamento" e mantenendo rapporti con Alessandro Casati e Tommaso Gallarati Scotti, fondatori del movimento[1].
Fu tra i fondatori della "Società italiana per la ricerca dei papiri greci e latini in Egitto"[4] nel 1908 e contribuì significativamente all'acquisto di codici arabi[5] per la Biblioteca Ambrosiana. Svolse inoltre un ruolo importante nel Circolo Filologico Milanese e nella "Opera Bonomelli"[6].
Pestalozza fu il primo italiano a ottenere la libera docenza in Storia delle religioni (1911) e divenne professore ordinario nel 1938[1]. Durante la Seconda Guerra Mondiale, fu rettore dell'Università di Milano[2]. Si ritirò dalla vita pubblica nel 1949, dedicandosi alla pubblicazione di studi fino alla sua morte nel 1966.
La sua ricca biblioteca ed il suo epistolario [7] sono stati devoluti alla Biblioteca Ambrosiana per sua stessa richiesta.
Uberto Pestalozza apporta un fondamentale contributo agli studi sulla religione nel Mediterraneo antico, dimostrando l'esistenza di una cultura agrario-matriarcale che dominava l'area prima dell'espansione della civiltà ellenica. Pestalozza sottolinea il ruolo predominante della donna, legato alla sua connessione con la Terra Madre, fin dal paleolitico superiore. Egli contrasta la teoria di Wilhelm Schmidt che vede il matriarcato come successivo all'agricoltura, sostenendo che esso esistesse già prima e contribuisse allo sviluppo agricolo.
La figura centrale di Pestalozza è la Potnia, la Grande Madre mediterranea, interpretata come unificatrice del pantheon di divinità. Secondo Pestalozza, i popoli indoeuropei che successivamente dominarono il Mediterraneo furono influenzati da questo matriarcato religioso, e ne incorporarono nella loro cultura molte credenze mitiche e rituali.
Pestalozza evidenzia che la religione greca non può essere compresa partendo solo dalle divinità olimpiche, ma deve tener conto degli elementi matriarcali che influenzarono i miti greci, e portarono spesso a una forzata integrazione con risultati mitologici bizzarri.[8]
Tra le opere più note di Pestalozza si ricordano:
Per ricordare solo alcune delle istituzioni accademiche e degli enti di cultura superiore di cui fece parte:
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