Stefano Salvi (Bergamo, 15 luglio 1953) è un personaggio televisivo e giornalista italiano.
«Stefano Salvi con la puntata su Cuccia ha dimostrato all'Italia cosa è il vero potere. Il silenzio di Cuccia era migliore di un urlo.»
Dopo gli studi in ragioneria lavora in banca sino al 1984. Dall'anno successivo e fino al 1992 è attore teatrale.[2] Dal 1993 collabora come inviato alla trasmissione Striscia la notizia,[3] realizzando servizi di inchiesta e interviste indossando un caratteristico giubbotto giallo. Tra i temi trattati: la guerra in Iraq, l'uso di uranio impoverito, lo scandalo di affittopoli. Tra gli intervistati: Enrico Cuccia, Massimo D'Alema, Tareq Aziz, Indro Montanelli, Marina Ripa di Meana, Adriano Celentano, Rosy Bindi, Vittorio Cecchi Gori.[4] Suscita particolare clamore l'intervista a Enrico Cuccia, definita dal giornalista Aldo Grasso «il mutismo più eloquente in tutta la storia della tv».[5]
Dopo l'esperienza televisiva terminata nel 2001, per dissapori prima con Mediaset a causa di un contenzioso sul mancato pagamento delle spese legali di difesa[6][7] e poi con Antonio Ricci, accusato di occultare le notizie scoperte da Stefano Salvi,[8] porta in tour un proprio show personale, dal titolo "Si Salvi chi può".[9]
Con vari giornalisti, nel 2001 è coautore del volume L'informazione deviata, edito da Zelig-Baldini e Castoldi e presentato al Premio Ilaria Alpi,[10] nel quale scrive il capitolo "Iraq, una tragedia: la mia avventura raccontata agli studenti universitari".
A fini solidali, partecipa alla Nazionale DJ come capitano dal 1996 a 2001, alla Nazionale Artisti-tv e alla squadra di Striscia la notizia.[11]
A metà degli anni 2000 si avvicina al partito Liberal Sgarbi di Vittorio Sgarbi, candidandosi in occasione delle Elezioni europee del 2004 senza essere eletto.[12]
Dal 2006 gestisce una web TV di inchiesta su internet,[13][14] pubblicando servizi anche su Arcoiris TV.[15] Nel 2008 realizza un'inchiesta che denuncia la presenza di tecnici informatici assunti a tempo determinato in tribunali e corti d'appello italiane, con libero accesso a dati sensibili.[16]
Nel 2009 è nominato ambasciatore dell'organizzazione non governativa saharawi Afapredesa, costituita nel 1989 in Algeria,[17] promuovendo, anche negli anni successivi, l'abbattimento del muro del Sahara occidentale tramite testimonianze e dibattiti.[18]
Nel giugno 2013 la Corte di cassazione condanna RTI per l'intervista di Salvi a Marina Ripa di Meana del 1994, confermando la tesi accusatoria secondo cui «il giornalista non era affatto interessato a dare conto delle scelte politiche bensì soltanto a costruire un prodotto televisivo che risultasse appetibile in un orario di massimo ascolto, contando sulla reazione violenta»[19] Altre interviste hanno generato ingenti richieste legali di danni, non ottenute.[20][21]