Frano Alfirević (Zara, 11 settembre 1903 – Zagabria, 2 febbraio 1956) è stato un poeta jugoslavo di etnia croata.
Frano Alfirević nacque a Zara (all'epoca impero austro-ungarico) l'11 settembre 1903[1], figlio di Josip, un impiegato e di Lucija.[2]
Ha studiato dapprima a Ragusa e a Cattaro, successivamente letteratura latina e studi slavi all'Università di Zagabria e a quella di Parigi.[3]
Nel 1934 soggiornò a Grenoble e in Bretagna, dove studiò la vita dei pescatori bretoni e scrisse degli articoli su di loro, ottenendo premi e riconoscimenti per questo suo impegno.[4][2]
Ha lavorato come professore di ginnasio a Trebigne, Sarajevo, Belgrado, Zemun e Zagabria.[4]
Scrisse poesie, saggi, libri di viaggio e recensioni per numerose riviste e giornali,[4] tra i quali Mlada Jugoslavija (Giovane Jugoslavia, 1922-1923), Orkan (Uragano, 1923-1924), Vedrina (Serenità, 1924), Misao (Il pensiero, 1925-1929), Demokrata (I democratici, 1927), Prosvjeta (L'istruzione, 1935, 1936, 1939), Jugoslavija (Jugoslavia, 1940), Nova Hrvatska (Nuova Croazia, 1944).[2]
Tra le raccolte di poesie menzionamo: Poesie (Pjesme, 1934); Mare e città lontane (More i daleki gradovi, 1941); Canti scelti (Izabrane pjesme, 1952), nelle quali le tematiche principali furono il mare, i paesaggi delle città costiere e quello bosniaco e si caratterizzarono per l'intimità, l'introspezione serena e confessionale, i toni elegiaci.[4][5]
Alfirević espresse poeticamente sentimenti, talvolta, di ansia e di delusione di fronte al vasto mondo che è per lui un ambiente di sofferenza e di dolore, e manifestò una poetica malinconia e una nostalgia lirica meditativa.[4]
Le liriche furono intrise di note dolenti, ispirate dall'«angoscia dell'albergo», dall'«angoscia del circo», dall'«angoscia del serraglio», dall'«angoscia della miniera».[3]
Il poeta, comprendendo la propria impotenza, comune a tutti gli uomini, i quali sono «minuscoli... come mendicanti dinanzi all'enorme realtà», si sentì abbandonato e sembrò impaurito, perché «ci sono al mondo molti uomini, città e donne», ma tutto è destinato a restare «sinistramente ignoto».[3]
Alfirević notò segnali di sofferenza dovunque nel creato, negli occhi degli animali come gli asinelli trasportanti some pesanti, così nelle mani dei marinai, negli alberi costieri e nelle località bosniache.[3]
Alfirević si dimostrò un sognatore e a tal riguardo scrisse che «i sognatori muoiono di fame, avendo vissuto di sogni, e la vita passa indifferente su di essi come marcia funebre».[3]
Il recupero di forme più tradizionali di poeticità, così come influenze espressioniste e narrativa, furono fondamentali nel suo stile poetico.[4]
Nella letteratura di viaggio, Viaggi nel mondo e saggi (Putopisi i eseji, 1942), descrisse le bellezze di Mateševo, trovando una somiglianza tra il paesaggio reale e quello spirituale.[4]
Si dedicò alla traduzione di opere della letteratura italiana, tra le quali Giuseppe Ungaretti, Luigi Pirandello, Giacomo Leopardi, e di quella francese, come Pierre Loti, Paul Valéry.[4]
Frano Alfirević morì a Zagabria il 2 febbraio 1956.[1]
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